#AMOLABICI – Le CicloStorie di Paolo Aresi. La storia del Gino Tramontini
In questi giorni è uscito un libro di racconti “Gente di Bergamo”, venti racconti di venti autori bergamaschi, di nascita o di adozione, che narrano storie in qualche modo legate alla nostra terra. E’ un bel libro, emozionante, ricco di idee e di sentimento. Io ne sono il curatore, ma spassionatamente ve lo consiglio, magari per Natale, per voi o per qualche amico che ama leggere. Gente di Bergamo è un titolo che mi fa venire in mente tante persone, tante storie che ho incontrato nella vita.
A proposito di ciclisti, mi viene in mente la storia del Gino Tramontini. Il Gino era il mio ciclista. Abitavo in città, in via San Giovanni, vicino al parco Suardi. Il Gino aveva un bel negozio di ciclista nella via ed era amico di mio nonno Piero, altro appassionato di ciclismo, che aveva fatto pure un ventesimo posto al campionato bergamasco del 1913 (o giù di lì).
Il Gino era un uomo buono e onesto, non era tagliato per gli affari: le cose andarono male, dovette chiudere il negozio. Aprì una modesta botteguccia di fronte, dentro un portoncino e dalla strada non la si vedeva nemmeno, dovevi entrare e percorrere un corridoio buio, in fondo una porta a vetri e oltre si apriva uno stanzone che profumava di biciclette. Uno stanzone con un tavolo da lavoro di legno tutto consumato, un cavalletto per mettere su la bici, un catino pieno d’acqua per le forature. Tramontini aveva i capelli folti e bianchissimi e sorrideva sempre. Io ero un bambino.
Lui mi preparò la seconda bicicletta (la prima me l’avevano regalata quando avevo sei anni e non andava più bene perché ormai di anni ne avevo dieci), la mise insieme prendendo pezzi di bici usate, ma il telaio era rosso fiammante. Che gioia! E quante forature. Ogni volta andavo dal Gino, lui sorrideva, riparava e non chiedeva nemmeno una lira. E io partivo di corsa per le gare al Parco Suardi.
Poi il Gino morì, io avevo diciassette o diciotto anni.
Soltanto qualche tempo dopo scoprii che il Gino aveva corso in bicicletta a buon livello, che aveva fatto un Giro d’Italia dove si era piazzato attorno al ventesimo posto e che aveva vinto anche un campionato bergamasco, durissimo. Al Giro d’Italia Tramontini era un “libero”, non aveva squadra. Ed era squattrinato. Dormiva dove capitava. Veniva assoldato da una squadra o da un’altra in difficoltà per portare borracce e rifornimenti e allora veniva pagato con una coscia di pollo o un panino al salame. A un certo punto, gli sportivi bergamaschi, visto il comportamento più che decoroso del Gino, fecero una sottoscrizione e gliela mandarono attraverso un vaglia telegrafico. Gino ricevette e ringraziò. Era il Giro del 1932, erano partiti in 109, lo finirono in 65.
Al ritorno a Bergamo Gino venne portato in trionfo insieme a un altro ciclista bergamasco, Antonio Pesenti, che tutti chiamavano “Tone”, altro uomo di rara bontà. Piccolo particolare: Antonio Pesenti quel Giro lo vinse, con ben undici minuti di vantaggio sul secondo, il belga Jeff Demuysere. Ma questa è un’altra storia, la racconteremo un’altra volta.
Intanto: ciao Gino. E grazie dei tuoi sorrisi.