MILANO (MI) – E’ uscito il 17 maggio nelle librerie Felice Gimondi, da me in poi” (Mondadori Electa, € 19,90) libro scritto dallo stesso grande campione in collaborazione con Maurizio Evangelista, firma di prestigio per lunghi anni del Corriere dello Sport e poi esperto di comunicazione. La prefazione non poteva che essere affidata al “cannibale” Eddy Merckx, l’uomo con (e contro) il quale Gimondi ha dato vita ad uno dei duelli più entusiasmanti della storia sportiva recente.
I campioni assoluti non conoscono l’altra faccia della medaglia. Si comportano da vincenti anche quando gli capita di soccombere, e non smettono mai i panni del leader. Scelgono, decidono, si impongono, poiché il campione è naturalmente un prepotente. Questo vale quasi per tutti, a meno che non ci si chiami Felice Gimondi. Perché anche a un campione può capitare di andare a sbattere contro qualcuno più grande di lui. E di dover rimettere in discussione ogni cosa – progetti, ambizioni, sogni – adattandoli all’ingrata condizione del numero uno che diventa suo malgrado numero due, pur senza arretrare di un centimetro.
La leggenda sportiva di Gimondi non è impolverata dal tempo, il suo modo genuino di sfidare la vita è qualcosa che affascina ancora oggi. L’autorevolezza del campione si scioglie nella saggezza dell’uomo che ha sperimentato trionfi e cadute. Gimondi ha scalato tutte le montagne più terribili ma ha dovuto spesso arretrare davanti a un uomo in carne e ossa come lui.
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Fiammingo, insaziabile fino alla bulimia da successo: Eddy Merckx, il fenomeno più straordinario che questo sport abbia mai prodotto. A queste pagine Gimondi non ha affidato solo il racconto delle sue imprese, che sono grandi sia da vincente sia da sconfitto. Ha riletto la storia del ciclismo del dopoguerra con la sapienza di un ultrasettantenne pieno di ricordi e di ironia. Per quanto le sue analisi siano taglienti, i giudizi netti, le parole di Felice non esondano mai nell’arroganza: la modestia, eredità della sua sana cultura contadina, non gli impedisce di essere autorevole.
Ancora oggi – marito, padre e nonno appagato dai suoi successi, dagli affetti e da tutto quello che ha saputo costruire in una vita senza capricci – quando parla di Merckx dice “quello lì”, come se volesse mantenere le distanze e invece lui a Eddy vuole bene, ed è ricambiato; ogni tanto i due si vedono o fanno lunghe telefonate come vecchi amici.
I rimpianti resteranno, ma non sono nulla rispetto alla consapevolezza di aver segnato un’epoca, spartiacque tra il ciclismo degli eroi e quello dei marziani. Protagonista prima e poi testimone imbarazzato di uno sport tormentato dal delirio del successo: pur avendo vinto tantissimo, Gimondi invece è lì a dirci che si può essere campioni anche quando si perde. Da lui in poi, è stata tutta un’altra storia.