#AMOLABICI – Nibali al Giro, re di uno sport profondamente umano
Avevo scritto di Nibali la settimana scorsa, nel suo momento più difficile, dopo la cronoscalata. Avevo scritto che Nibali è un campione vero, che è un uomo. Avevo ricordato che i campioni veri incontrano durante i grandi giri anche momenti molto difficili, ma che poi sanno risorgere. E citavo Coppi e Gimondi.
E’ andata proprio così, ma nel modo più bello, che nemmeno io immaginavo: Vincenzo è realmente risorto, lo abbiamo visto tutti, fino ad arrivare a vincere il Giro d’Italia che sembrava ormai perduto.
Io questo Giro lo sintetizzo in tre immagini. La prima è quella di Nibali che sale a Risoul e vince in solitudine. Ci sono in questa salita due momenti: lui che pedala da solo su quella strada impervia con grande scioltezza, con forza e grazia che guardarlo era bellissimo. Poi Vincenzo che taglia il traguardo e con le mani indica il cielo e poi oltre il traguardo si ferma, si appoggia al manubrio e comincia a piangere e a singhiozzare.
In quel momento ho avuto la conferma che Nibali è un vero uomo. Vincenzo è arrivato e ha indicato il cielo, ha indicato quel ragazzo – Rosario – che per lui era quasi un fratello minore, il ragazzo della sua squadra siciliana morto mentre si allenava in bicicletta nei primissimi giorni del Giro. E’ stato l’evento che ha sconvolto Vincenzo e che – a mio avviso – lo ha depresso, gli ha tolto forza. Ma che poi gliela ha anche restituita. Vincenzo ha pedalato e vinto pensando a quel ragazzo. L’amore per quel fratello gli ha dato una grande energia e sul traguardo lo ha salutato, lo ha ringraziato.
Poi quel pianto liberatorio, quei singhiozzi per la gioia immensa di avere pedalato al massimo delle sue possibilità, per avere vinto in nome di Rosario. Commozione incontenibile, emozione, affetto. L’idea meravigliosa di avere portato a termine una grande impresa per qualcuno che non c’è più, ma che in realtà vive ancora, nel nostro cuore e in una dimensione dell’universo che noi non conosciamo.
E poi una terza immagine, all’arrivo di sabato, quell’abbraccio con i genitori di Chavez e poi con Valverde. Abbracci stretti, sinceri, da uomini di valore che sanno essere avversari e amici al tempo stesso. Ecco, in questi momenti si è concretizzato il messaggio del ciclismo migliore, di uno sport di fatica, di uno sport in fondo semplice, umile. Uno sport profondamente umano. Questa umanità è emersa in modo forte, in sella e giù dalla sella: affetto, fatica terribile, amicizia, lacrime, sorrisi. Mi sono sembrati quegli ultimi giorni del Giro d’Italia, la fotografia più bella della realtà della vita.