Alla vigilia del Tour de France, Vincenzo Nibali e Fabio Aru come Bartali e Coppi, Gimondi e Motta, Moser e Saronni… Le grandi rivalità sono il sale del ciclismo, i contrasti agonistici, i personaggi che si differenziano non soltanto per la capacità sportiva, ma anche per il carattere, per quello che sono o che sembrano essere.
Bartaliani e Coppiani, quelli di Gimondi e quelli che tifavano Motta oppure Eddy Merckx, altra storica rivalità. Non era soltanto una questione sportiva. O, meglio, nella scelta sportiva ci entravano tanti elementi. Ognuno nel suo campione proietta qualcosa di sé. I Bartaliani e i Coppiani. Fu anche una questione generazionale, perché Bartali era più vecchio di Coppi, i suoi tifosi erano in genere un po’ più attempati. Ma non era solo quello, Bartali e Coppi erano grandi campioni che rappresentavano due diversi modi di essere.
Bartali era un uomo tutto di un pezzo, con un’idea chiara e solida della vita, dei valori che nella vita contano. Aveva la sua idea. Era profondamente religioso. Nel ciclismo portava questa sua solidità, questa costanza, questa regolarità nella voglia di lottare sempre per essere migliore.
Coppi era un campione eccezionale. E fragile. Coppi era capace di imprese mirabolanti, come quando in quella Cuneo-Pinerolo staccò tutti alla partenza e arrivò solo al traguardo. E capace di precipitose discese agli inferi, crisi profonde. I tifosi percepivano la sua grandezza e la sua fragilità. E lo sentivano così profondamente umano, così simile a tanti di loro. Era facile proiettarsi, identificarsi. Come ognuno di noi, Coppi poteva cadere e soffrire, pensare addirittura di ritirarsi dalla competizione. Ma poi ecco che risorgeva, ecco che staccava Derycke sulla Crespera al Mondiale di Lugano e in pochi chilometri guadagnava sei minuti. Incredibile. E vinceva a mani alzate.
E Gimondi e Merckx. Tifava per Gimondi chi apprezzava la forza della volontà, la costanza di chi sa di non essere il migliore, ma cerca comunque di dare il meglio di se stesso, sempre. Non molla mai. Gimondi che china il capo di fronte  al più forte, ma non si arrende mai. E in questo senso diventa un grande pedagogo, un grande maestro di tutta una generazione. Non mollare perché il tempo della rivincita può arrivare in qualsiasi momento. Tu non lo sai. La perseveranza, la costanza, l’umiltà e la forza.
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E ora Nibali e Aru, una rivalità che potrebbe fare solo del bene al ciclismo. Il “vecchio” e il “giovane”. Il ciclista esperto e il giovane che sa il fatto suo, che vuole fare di testa sua, magari un po’ irriverente, imprevedibile.
Che tifiamo Nibali o che tifiamo Aru, speriamo che sia comunque una nuova, grande, pulita rivalità. Ci farà solo del bene.
Buone pedalate a tutti.