E’ tempo di rompere gli indugi e andare. Le giornate si sono allungate, il gelo di gennaio è alle spalle, i corridori hanno disputato le primissime corse, il celebre Trofeo Laigueglia, la corsa a Donoratico, i vari tour che da un po’ di anni si corrono nel mondo australe…

Una volta nell’emisfero sud del mondo il ciclismo nemmeno sapevano che cosa fosse. Negli ultimi quindici-vent’anni si sta affermando. E’ cambiato il mondo, anche qui. Si sono sovvertiti gli equilibri, le distribuzioni. Una volta il ciclismo era un fatto limitato a una manciata di corridori professionisti e alle categorie giovanili. Poi c’è stata l’esplosione degli amatori, dei cicloturisti, sono arrivate le gran fondo… Un tempo le squadre ciclistiche professionistiche erano italiane, francesi, belghe. Poche spagnole, qualcosa in Germania, in Olanda. Stop. Oggi di squadre professionistiche italiane che cosa è rimasto? Chi finanzia le squadre?

Sta cambiando la geografia del mondo. Sono arrivati prima gli americani, poi i russi, adesso arrivano i capitali cinesi. Anche gli arabi non si tirano indietro. Questo è il mondo che gira e che si modifica.

Un altro ciclismo. Mi diceva il cavalier Santini, quello delle divise sportive, che oggi il ciclismo è il nuovo golf. Ha ragione. Oggi il ciclismo è praticato da tutti, anche da professionisti e imprenditori. Una volta era lo sport dei poveri, poteva anche rappresentare una strada di riscatto sociale se scoprivi che avevi la dinamite nelle gambe.

La bicicletta era il mezzo di trasporto dei poveri, i benestanti avevano l’automobile. I benestanti non salivano in bici perché era come dire che si sporcavano, che scendevano di rango. I campioni ciclisti erano emersi perché qualcuno li aveva notati nei percorsi lavoro-casa o perché pedalavano per portare il pane nelle cascine, o pedalavano su tricicli colmi di merci che venivano portate ai grossisti, ai negozi… Il ciclismo era lo sport delle classi popolari. Che si infiammavano davanti alle gesta di Binda, Pesenti, Bartali, Coppi, Gimondi… La fatica la conoscevano bene le classi popolari. La terra bassa dei contadini, i forni degli operai metalmeccanici, i secchi di calce di malta che i manovali portavano a spalla sulle scale dei cantieri.

E’ cambiato tutto. Ma non la fatica. Andare in bicicletta vuole dire comunque spostarsi con le proprie forze, farsi carico della fatica e poi anche della sofferenza. Il ciclismo è cambiato, ma di certo non nella sua essenza. E forse aiuta ad avvicinare le classi sociali, persone diverse. Ha un valore educativo: a tutti insegna ad attraversare la sofferenza senza cedere.

Dicevo che le temperature sono salite; le primule sbocciano sui pendii delle colline alle quote più basse. E, siccome i ciclisti sono come i fiori, anche loro sono sbocciati con le loro maglie colorate e hanno ripreso a percorrere le strade della pianura (per la salita c’è tempo). Io ancora non ho inforcato la bicicletta, ma è solo questione di ore. Per adesso sono passato dalla segreteria della gran fondo Felice Gimondi e mi sono iscritto. Primo obiettivo della stagione. Che vorrebbe essere un po’ più ricca rispetto a quella dello scorso anno… Vi terrò informati.

Buone pedalate.

paolo aresi (2)

Paolo Aresi – giornalista e scrittore.
Dal 2015 cura la rubrica “#AMOLABICI, le Cicloctorie di Paolo Aresi” sul sito www.bicitv.it.
Il ciclismo è una sua grande passione, ha trascorso l’infanzia tifando Felice Gimondi.
Pedala con una certa energia, ma il poco tempo a disposizione lo penalizza.