Francesco Moser ha ricevuto il Premio Guido Rizzetto 2017
CASTEL D’AZZANO (VR) – Sacrificio e umiltà sono stati i suoi compagni di viaggio. Francesco Moser ha sublimato queste qualità in bicicletta e non solo. Smesso di correre, ha rilanciato l’azienda di famiglia ed è diventato un apprezzato imprenditore nel comparto vitivinicolo, «anche se mai sarò campione del mondo in questo settore perché è più difficile gareggiare col vino, dove è guerra senza quartiere, che in bicicletta» (foto Remo Mosna).
È un esempio di dedizione ai valori che l’accompagnano e lo sostengono, imparati «in campagna dove mi sono fatto le ossa e, in val di Cembra, era veramente fatica: i muscoli me li sono fatti lì». Lì è sempre tornato, lì è rimasto, da lì parte per il lavoro e per il piacere di trasmettere, con la sua immagine, i valori del ciclismo.
Nella bella serata al ristorante Gusto di Emiliano Oliosi a Castel d’Azzano, per ricevere il Premio Guido Rizzetto, istituito nel 2003 dalla redazione sportiva de L’Arena e dal Gs Cadidavid di Roberta Cailotto, Moser osserva che «è bello ricordare i giornalisti che si sono dedicati a fare informazione corretta e sostenere l’attività giovanile», ricorda il suo stretto legame con Verona «dove ho vinto il Giro 1984 e ripartito in maglia rosa vincendo il prologo a cronometro sul circuito da Castelvecchio alla Bra nel 1985». Sono «emozioni che non si possono dimenticare», così come «i giorni del Mondiale 2004, voluto da Teofilo Sanson e dalla famiglia Rana, che ha attirato tantissima gente perché uno che viene a Verona per il ciclismo, ha l’occasione di ammirare opere d’arte che nulla hanno da invidiare a quelle di altre città».
«Ci ha dato tantissimi e utili, consigli – interviene Giovanni Rana, “Premio Rizzetto” 2016, che di quel Mondiale guidò l’organizzazione –, dimostrandosi vero amico lungo il cammino di quella che rimane una grande impresa e che ha portato un’edizione del meeting iridato ancora ricordata».
Moser è reduce dal Giro d’Italia, dove ha pedalato con Mediolanum gli ultimi 50 chilometri di ogni tappa. Conferma di «aver visto tanto pubblico, di più rispetto alle edizioni precedenti», mentre sotto l’aspetto tecnico dice che «la caduta sul Blockhaus ha condizionata la corsa che, con Thomas e Landa in classifica, sarebbe cambiata» e che «Dumoulin ha vinto con merito, semmai sono gli altri, che avrebbero dovuto attaccarlo senza aspettare sempre l’ultima salita, ad avere qualche demerito».
Loda la «buona prestazione di Formolo, autore di alcune belle tappe, che dovrà continuare a mettere nel mirino gare importanti, migliorare ancora in salita e, soprattutto, a cronometro, imparare la gestione della corsa dove serve essere ragionieri per spendere meno energie possibili e mantenere le forze per il dopo, per i momenti decisivi». Ammette che «c’è un bel movimento giovanile, ma che sono sempre più le squadre che chiudono di quelle che aprono e che il numero delle corse continua a diminuire».
Francesco Moser è il corridore italiano più vincente di sempre. Dal 1973, le sue corse sono documentate nelle foto di Remo Mosna. «Correva in bici con mio fratello – fa presente Francesco – ed io, dodicenne, andavo a vederli, poi quando io ho cominciato e lui ha smesso, ha seguito questa sua grande passione per la fotografia ed ha accompagnato la mia carriera». «Ricordo – riferisce Mosna – la prima vittoria importante, in Toscana, quando Francesco vinse il tricolore su strada dilettanti. E poi, indimenticabile, il Giro d’Italia all’Arena, venuta dopo anni in cui si soffriva. E sì, perché noi trentini eravamo un po’… distanti dalla Lombardia dove si vendono i giornali».
«Ero reduce dai Giochi olimpici di Monaco – ricorda Moser – e in Toscana avevo l’ultima occasione per diventare campione italiano dilettanti, dopo due edizioni a Reggio Emilia e in Puglia in cui non era andata bene. Poi sarei passato tra i prof e quella maglia l’ho indossata solo in due-tre corse». Poi ne indosserà di diversi colori (azzurro, arcobaleno, rosa, giallo…), per più anni.
(Servizio a cura di Renzo Puliero)