#AMOLABICI – Doping tecnologico. Ma che gusto c’è?
Lo sapevo che stava per arrivare, che era soltanto questione di tempo. Ma speravo che il primo a venire beccato non fosse un bergamasco, non fosse un nostro cicloamatore. Il primo ciclista amatore scoperto con “doping tecnologico” invece è proprio uno dei nostri. Che ha usato una bicicletta con motorino elettrico inserito nel piantone, nel tubo centrale del telaio. Motorino collegato al movimento, in grado di regalare una bella spinta in più al momento della necessità. Lui, l’amatore, beccato durante una corsa, prima ha ammesso, poi ha ritrattato. Ha detto che la bici gli era stata venduta di seconda mano e che lui non sapeva.
Vero, non vero, non lo so, e non mi interessa, spetterà semmai alla Giustizia sportiva fare luce. Ma il fatto resta: il doping tecnologico è entrato nel mondo del ciclismo per diletto, del ciclismo pedalato da persone che nella vita fanno altro e che nel ciclismo dovrebbero cercare il benessere, lo sport, un miglioramento della forma fisica, e magari anche della propria autostima.
Ma se vinci barando quale potrà essere la soddisfazione? Vinco, però mi sono fatto di Epo e gli altri no. Vinco, però avevo un motorino nel telaio e gli altri no. Dove sta il mio merito? Chi vince barando, al momento prova soddisfazione, perché comunque ha vinto. Ma poi quella soddisfazione passa, e lascia il vuoto. L’autostima non cresce, anzi, scende, perché dentro di sé chi bara sa di essere un imbroglione. E allora il senso di benessere va a farsi benedire, subentra il vuoto, subentra il nervosismo, appaiono gli atteggiamenti scostanti. Si può arrivare alla depressione.
No, meglio non imbrogliare, meglio decimi e non primi, ma con la coscienza pulita. Sapere di avere dato il meglio di sé rende felici, ci mette in pace con noi stessi, ci fa stare bene. Lo scorso anno ho partecipato alla Predore-Parzanica a fine agosto, ero a chilometri zero, non pedalavo da un mese. Ma ci sono andato per fare una scampagnata. Sono arrivato penultimo, ed ero contento: avevo fatto una tale fatica con il trentanove per venticinque che a un certo punto pensavo di girare la bici e tornare indietro e invece no, ho continuato a spingere sui pedali e a stare male. Sono arrivato al traguardo. Andando poi in discesa verso casa sono stato orgoglioso per quel penultimo posto.
Bergamaschi protagonisti del ciclismo, nel bene e nel male. La notizia più bella dell’anno l’ho letta questa mattina su Avvenire, il giornale cattolico che non parla di sport. Ma questa notizia l’ha pubblicata: “Claudia Cretti esce dall’ospedale”. Ho provato un senso di gioia, Claudia ce l’ha fatta. Adesso la attende una lunga riabilitazione e non sarà facile. E allora è ovvio, persino retorico, dire che questa è la sua sfida più importante, eppure è davvero così. E ho provato un senso di riconoscenza verso quei medici dell’ospedale di Benevento, quei neurochirurghi che hanno lavorato così bene, con efficienza e umanità: anche il Sud Italia ha le sue eccellenze, le sue cose buone.
Il grande ciclismo ora è un po’ in vacanza, un po’ su al Giro di Polonia (c’è anche Nibali, ma l’impressione è che stia facendo allenamento) che si conclude oggi, venerdì 4 agosto, dopo sette tappe, un po’ alla Vuelta Burgos, aspettando la Vuelta di Spagna e il Mondiale.
Buone pedalate a tutti!
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Paolo Aresi – giornalista e scrittore.
Dal 2015 cura la rubrica “#AMOLABICI, le Cicloctorie di Paolo Aresi” sul sito www.bicitv.it.
Il ciclismo è una sua grande passione, ha trascorso l’infanzia tifando Felice Gimondi.
Pedala con una certa energia, ma il poco tempo a disposizione lo penalizza.