Adesso il ciclismo agonistico si gode il meritato riposo, i professionisti si concedono una piccolo vacanza, Vincenzo Nibali viene all’ospedale di Bergamo, il Papa Giovanni, per sottoporsi a un non grave intervento chirurgico. Un riposo relativo, perché per tanti la stagione non si ferma mai, perché ci sono la pista e il ciclocross, e poi dall’altra parte del mondo arriva l’estate e oggi si corre anche in Australia… Come il mio amico Cecilio Testa, settanta primavere suonate, che è uomo sempre a caccia di imprese, sempre pronto a superarsi, ad alzare l’asticella.

Così Cecilio con il suo amico Mimmo si è fatto l’America coast to coast in venti giorni, poi è andato da Bergamo a Capo Nord, quindi in otto giorni si è fatto da Bergamo fino a Marsala… E adesso si trova proprio in Australia per affrontare un altro meraviglioso, e impegnativo percorso: la costa sud, anche attraverso il deserto, un viaggio di circa cinquemila chilometri. Mica caramelle! Anche questo è un ciclismo, certo molto diverso da chi pedala per respirare il paesaggio, per contemplare quello che gli scorre attorno con molta calma. Ma la bicicletta è bella per questo, perché la puoi usare come vuoi, per andare a prendere il latte, per salire sullo Stelvio, per sfidare gli amici, per farti un viaggio da solo, lentamente, lungo la Via Francigena e così cercare di ritrovare te stesso…

A proposito di biciclette diverse, di sogni differenti che ognuno coltiva. Ho sempre amato le biciclette classiche, il celeste della Bianchi soprattutto. Ma anche il ramato della Wilier. Mi ha sempre commosso la storia della Wilier Triestina, quella sua passione per la causa della patria. Perché, come molti sanno, Wilier significa: W l’Italia libera e redenta. Soltanto questo nome è bellissimo.

E ci catapulta in un’altra epoca, quando nell’Italia ci si credeva profondamente, nonostante che anche allora gli scandali e i farabutti non mancassero. Era il 1906 e Trieste ancora non era italiana, nel nostro Paese si riteneva che il Risorgimento non fosse del tutto compiuto finché gli ultimi fratelli di Trento e di Trieste non si fossero ricongiunti alla Penisola. Oggi si dirà che hanno fatto un magro affare, che sarebbe stato meglio per loro restare nell’Impero Austroungarico. Ma lo si dice oggi. Allora si era disposti a morire per Trento e Trieste.

E se parlate con i tanti profughi di Istria e Dalmazia vi renderete conto di che cosa sia la passione patriottica, l’amore per la patria. Che non ha molto a che vedere con il nazionalismo. La patria è quello che suggerisce il nome, è come un padre, come una famiglia. Un volere stare insieme perché siamo una stessa famiglia. E non importa se uno è più bravo, se uno è povero, se uno è birichino. Siamo comunque una famiglia. Già. Oggi la pensiamo molto diversamente. Se io sono più bravo e più ricco non mi va di aiutare te che sei povero e anche piuttosto incapace. No, me ne vado per fatti miei. Come cambia la cultura, la mentalità. Insomma, la Wilier era un marchio patriottico, fondato a Bassano del Grappa da Pietro Dal Molin.

Dopo la Liberazione prese il nome completo Wilier Triestina e si buttò nel ciclismo professionistico grazie alla spinta del figlio di Pietro, Mario. Con Fiorenzo Magni la Wilier vinse il Giro del 1948, battendo Coppi e Bartali, il Tour del 1950 con Ferdy Kubler e poi tanti altre vittorie con Luciano Maggini, Giordano Cottur, Arturo Bevilacqua.

Ma le vittorie non bastavano, l’azienda sostenne costi troppo elevati e nel 1952 chiuse. Fino al 1969, quando i fratelli Gastaldello di Rossano Veneto, vicino a Bassano, decisero di fare rivivere il glorioso marchio ramato. E ripartirono con delle specialissime fiammanti. Era una Wilier in alluminio quella su cui pedalava Marco Pantani al Tour del 1997, e pure su una Wilier vinsero Petacchi, Cunego, Ballan… Una bella storia, dai.

Però con l’avvento del carbonio (la Wilier lanciò il suo primo monoscocca nel 2001) la “ramatura” divenne un problema e oggi il marchio patriottico punta sul rosso e il bianco. Ma se mai io potessi scegliere una Wilier la vorrei comunque del suo colore mitico. Perché nel nome, nel colore e nella forma c’è il tutto, si racchiude il simbolo, il senso delle cose. Che cosa resta della rosa quando sfiorisce e muore? Già, resta il nome.

Io ho ricominciato a pedalare dopo un mese di sosta, causata da un piccolo intervento chirurgico alla schiena (come Nibali, insomma). Quando sono uscito per la prima volta, lunedì, in una bella mattina tiepida di fine ottobre, c’erano in giro pochi ciclisti e tutti che mi salutavano, come se sapessero del mio “stop” e mi dessero il benvenuto sulla strada, per il ritorno in sella. Certo che non è così, però la mia sensazione è stata questa. E mi sono sentito contento.

Buone pedalate a tutti!

Paolo Aresi

Paolo Aresi

Paolo Aresi – giornalista e scrittore.
Dal 2015 cura la rubrica “#AMOLABICI, le Cicloctorie di Paolo Aresi” sul sito www.bicitv.it.
Il ciclismo è una sua grande passione, ha trascorso l’infanzia tifando Felice Gimondi.
Pedala con una certa energia, ma il poco tempo a disposizione lo penalizza.