#AMOLABICI – Un racconto di luce per il Natale: “Mai smettere di pedalare”
Avevo una grande passione per il ciclismo. Non mi perdevo nessuna corsa, compravo la Gazzetta per sapere di Gimondi, Merckx, Baronchelli, Gianni Motta, Dancelli, Zoetemelk. E volevo correre in bicicletta, convinto, tra l’altro, di avere qualche qualità.
Avevo una pesante bicicletta di seconda mano, ruote 28, telaio in ferro, che mio padre e mia madre mi avevano regalato verso la fine della terza media, l’avevano comperata dal nostro ciclista di fiducia, il Gino Tramontini, che era un vecchietto gentile, dai capelli candidi. Si raccontava fosse stato un buon corridore professionista e che addirittura avesse partecipato al Tour de France. Secoli addietro. Verità, leggenda? Da adulto seppi che davvero Tramontini era stato un ottimo corridore, amico di Tone Pesenti e Alfredo Binda. Quante forature mi aveva rattoppato il Tramontini senza chiedere una lira! Un galantuomo.
Con la mia bici blu andavo in giro per la città e spesso eravamo in due, io e il mio amico Renato. Io a pedalare e lui sulla sella. A volte persino a salire dalle Mura… Facevo tanta fatica, ma mi convincevo che ero forte. Anche perché quando toccava a lui, non ce la faceva proprio… Oggi mi viene il dubbio: non ce la faceva oppure era un gran furbo e io uno sciocco?
Insomma, un giorno ero all’oratorio e arrivano due miei amici con la bici da corsa. Uno si chiamava Mario, era un tipo grintoso, piccoletto, stagno, i capelli rossicci. Anche la bici era rossa. Eravamo sull’ingresso di via Sant’Elisabetta, era pomeriggio sul tardi e io gli lanciai la sfida: scommetto che se facciamo Pignolo fino a porta Sant’Agostino tu non mi batti, anche se hai la bici da corsa! Lui accettò la sfida. Andammo giù all’incrocio tra via Camozzi, via Pignolo e Borgo Palazzo, ci arrotolammo la gamba destra dei calzoni fino al ginocchio e cominciammo a salire.
Oltre l’incrocio con via Verdi iniziò la gara vera e propria. Il Mario prese la testa e io dietro, in quella strada antica con la pavimentazione in porfido a spina di pesce (è ancora così). Mario spingeva forte, ma io non mi staccavo sebbene stessi facendo una gran fatica. Appena prima della chiesa di Sant’Alessandro della Croce, la strada strappa forte: in quel punto non so come trovai la forza e mi alzai sui pedali. Dopo la fontana del Delfino ero in testa. Mi ricordo ancora lo sforzo bestiale che stavo compiendo, anche perché la mia bicicletta aveva soltanto tre rapporti. Facevo così fatica che ero convinto che avrei mollato e allora, dove la strada curva sulla destra, prima dell’incrocio con viale Vittorio Emanuele, mi voltai: il Mario non c’era più. Rallentai, arrivai alla porta, mi fermai. No, il Mario non c’era. Così scesi all’oratorio. Il mio amico era lì all’ingresso, nel sole del pomeriggio, a cavalcioni della bicicletta, lo guardai, lui mi disse: “Bravo, hai vinto tu. Quando mi hai superato davanti alla chiesa ho capito che non c’era niente da fare”.
Io probabilmente feci un sorriso, non dissi niente. Ma mi ricordo bene che pensai: “Guarda come sono le cose, io stavo per mollare perché non ce la facevo e invece ho tenuto duro e ho fatto bene perché lui stava soffrendo anche più di me”. E questo pensiero non l’ho mai dimenticato.
La morale è facile, eppure vera. Quante volte capita che nella vita non ce la fai più e vorresti smettere di pedalare, ma comunque resiti e alla fine ce la fai? Anche perché una cosa è certa: se smetti di pedalare, di certo non vinci. Sicuro. Se continui a pedalare, anche se sei al limite, anche se sei stravolto, una possibilità ce l’hai sempre.
Ci avviciniamo a Natale, e questa piccola storiella è un po’ il mio augurio di luce, magari quando sembra che intorno il cielo si fa buio.
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Paolo Aresi – giornalista e scrittore.
Dal 2015 cura la rubrica “#AMOLABICI, le Cicloctorie di Paolo Aresi” sul sito www.bicitv.it.
Il ciclismo è una sua grande passione, ha trascorso l’infanzia tifando Felice Gimondi.
Pedala con una certa energia, ma il poco tempo a disposizione lo penalizza.