#AMOLABICI – Dopo i fatti di Lucca, dobbiamo proteggere la bellezza e l’onestà del ciclismo
Quello che è successo in Toscana mi ha lasciato senza parole, è stato come un pugno nello stomaco che spezza il respiro. Quello che gli inquirenti hanno scoperto mi ha fatto pensare a una casa degli orrori: la villetta dove i ragazzi venivano portati e imbottiti di eritoproietina, epo, ma anche venivano trattati con particolari ormoni. La morte di un ragazzo di ventun anni, un padre e una madre che istigano all’uso di queste sostanze.
Per vincere?
E i dubbi saltano fuori di nuovo, come fantasmi, e fanno paura. Era solo quella squadra che faceva uso di queste sostanze? È un caso isolato, una distorsione, una perversione di poche persone in grado di plagiare dei ragazzi? Oppure… no, non voglio nemmeno pensare a questo oppure. Non voglio pensare che altri possano arrivare a fare queste cose. Però l’inchiesta toscana pone un’altra questione, correlata: la necessità che i controlli diventino più serrati e sistematici, anche nelle categorie under ed élite, non solo tra i professionisti.
E poi ci sarebbe il capitolo amatori, ma francamente questo mi fa un po’ ridere. Nel senso che se un quarantenne vuole farsi del male per scalare una manciata di posizioni in una gran fondo o in una gara Udace… be’, sono fatti suoi, sono problemi suoi. Problemi di testa. Che però poi, è vero, si ripercuotono su tutti nel momento in cui queste sostanze danneggiano la sua salute; allora viene coinvolta la famiglia, il servizio sanitario nazionale… altri problemi.
Certo che la vicenda di Rumsas e della sua squadra è di quelle che lasciano il segno sull’opinione pubblica, una vicenda che fa molto male al nostro sport che a ogni scandalo cerca di rialzarsi e poi viene sistematicamente mandato al tappeto da qualche nuovo episodio. Quest’ultimo è di gravità particolare perché fa pensare all’opinione pubblica che il marcio non riguardi soltanto quel po’ di presunti campioni che lottano fra i professionisti per gare di prestigio, ma che tutto il sistema sia marcio, anche a livello giovanile.
E questo non è vero. Ho conosciuto direttamente il mondo del ciclismo giovanile e so quanta passione, quanta fatica, quanta onestà ci sono da parte di dirigenti e ragazzi. Per questa ragione, per proteggere la bellezza e l’onestà del ciclismo bisogna diventare spietati e pretendere controlli draconiani, che non si lasci passare niente, che si diventi intransigenti. Bisogna pretendere che i controlli vengano fatti puntualmente.
E non vale l’obiezione che riguarda i costi: bisogna affrontarli e basta. Altrimenti dovremo rassegnarci a vedere il nostro sport ripiegarsi sempre più su se stesso, diventare una piccola nicchia, fin quasi a scomparire, e restare una disciplina per amatori. Un po’ come la corsa campestre: c’è una marea di gente che fa jogging, ma quanti sono quelli che seguono e si appassionano alle gare, alle maratone di alto livello? Giusto soltanto quando ci sono le olimpiadi.
A me piacerebbe invece che il ciclismo rimanesse uno sport entusiasmante, una scuola di vita per i giovani, e una disciplina capace di trascinare i tifosi a immedesimarsi nei grandi campioni, capaci di diventare persino dei modelli, che arrivano ad avere un valore educativo. Lo dicevo a Felice Gimondi, l’ho incontrato nel suo ufficio pochi giorni fa, gli dicevo quanto valore abbia avuto per me il suo esempio, il suo comportamento quando io ero un bambino e seguivo ogni sua impresa, ogni sua sofferenza, ogni sua sconfitta.
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Paolo Aresi – giornalista e scrittore.
Dal 2015 cura la rubrica “#AMOLABICI, le Cicloctorie di Paolo Aresi” sul sito www.bicitv.it.
Il ciclismo è una sua grande passione, ha trascorso l’infanzia tifando Felice Gimondi.
Pedala con una certa energia, ma il poco tempo a disposizione lo penalizza.