LIEGI (BELGIO) – Arrivare nel gruppo delle migliori alla Freccia Vallone e poi rispondere in prima persona agli attacchi della Moolman sul Muro di Huy non è cosa da tutti. Se poi si aggiunge il fatto che questa era la sua prima partecipazione in assoluto ad una Freccia Vallone, ecco che occorre aprire gli occhi e guardare con attenzione l’evoluzione tecnica ed agonistica di Asja Paladin.

Sì, perché concludere al quattordicesimo posto una corsa di questo genere con tutte le atlete top al mondo ed essere la terza migliore italiana alle spalle di Sofia Bertizzolo, vera rivelazione di questo 2018, e della campionessa italiana Elisa Longo Borghini, è la dimostrazione che Asja Paladin è l’ennesima atleta azzurra da tenere in considerazione addirittura in ottica Mondiale, visto che ad Innsbruck le salite abbonderanno e ci sarà bisogno di grandi scalatrici.

Ma Asja sa benissimo che il percorso è lungo e si dovrà procedere passo dopo passo: troppe volte infatti la carriera di questa giovane scalatrice di Cimadolmo (TV), già convocata in nazionale da junior per i mondiali di Valkenburg, è stata brutalmente interrotta da gravi infortuni.

“Sì, purtroppo negli ultimi due anni ho costole, scapola e clavicola” racconta Asja, arrivata in casa Valcar-PBM soltanto in questo 2018 e che però ha incominciato ala grande questa stagione.

Asja, iniziamo quest’intervista partendo dalla fine, incominciando proprio da questo tuo ultimo risultato alla Freccia Vallone…
“Ci speravo, perché sapevo di stare bene, ma non mi aspettavo di entrare nelle prime quindici. Alla Amstel Gold Race ho visto che la gamba era buona e la Freccia mi è servita per prendere consapevolezza dei miei mezzi e per guardare con fiducia anche alla Liegi – Bastogne – Liegi che forse è la gara più adatta del trittico delle Ardenne visto che ci sono salite più lunghe”.

Rimaniamo sulla Freccia, perché sono curioso di capire quali fossero i tuoi stati d’animo. Insomma, partecipare per la prima volta in carriera ad una gara come questa ed essere lì ai piedi del muro di Huy con tutte le atlete top al mondo deve essere stata una sensazione incredibile…
“Se devo essere sincera, avevo quasi paura, perché non sono abituata a gare di questo livello, ma ho cercato di essere lucida e di prendere il muro nelle prime posizioni. Quando la Moolman è scattata, le ho risposto e le sono andata dietro. Ai 500 metri ero in quinta posizione, poi però mi sono un po’ impiantata sul pezzo più duro. Ho dato il cuore su quella salita, soprattutto quando sulle rampe di quel muro c’erano le mie compagne di squadra a farmi il tifo. Appena tagliato il traguardo, mi sono fermata alle transenne. Avevo dato proprio tutto”.

Asja Paladin appoggiata alla transenna sfinita dopo la Freccia Vallone

Asja Paladin appoggiata alla transenna sfinita dopo la Freccia Vallone (foto Anton Vos)

Sì, abbiamo visto la fotografia di quel momento sui tuoi profili social. Ora però facciamo un passo indietro. Raccontami brevemente come sono state le gare di questa tua prima stagione in maglia Valcar-PBM.
“La mia prima competizione è stata una gara a tappe, la Setmana Ciclista Valenciana in Spagna. Non ero al top di condizione, ma ci sono stati segnali positivi perché ho chiuso nelle prime venti in classifica generale. Poi a Cittiglio ho sofferto tanto il freddo. Il percorso era adatto alle mie caratteristiche, ma la giornata di pioggia mi ha un po’ penalizzato, però tutto sommato è andata bene. Alla Amstel qualcosa è cambiato. Sul Cauberg ho tenuto a fatica il passo delle migliori, ma ero lì e poi non ho sofferto eccessivamente neanche sul passo”.

Direi che i miglioramenti ci sono stati, quindi. Non sono un esperto a livello tecnico, ma ti chiedo: è cambiato qualcosa nel tuo modo di allenarti?
“Diciamo che rispetto agli anni scorsi faccio meno chilometri, ma più lavori di qualità. Ma forse la cosa differente è un’altra”.

Cioè?
“Qui alla Valcar-PBM faccio una preparazione più mirata sulle mie caratteristiche ciclistiche e sulla mia persona, nel senso che posso sentire il mio allenatore Davide Arzeni ogni giorno e ci confrontiamo man mano sugli allenamenti. Potersi allenare in questa maniera agevola le cose, perché ho un feedback continuo e si lavora in maniera molto più precisa. E poi sento intorno a me fiducia e serenità, e questo è molto importante. Le mie compagne di squadra mi danno tantissimo, mi fanno stare bene e mi insegnano tante piccole cose. Quando sono con loro sono serena e felice, non mi pesa andare via in trasferta. Le cose che pensavo vedendo questa squadra dall’esterno ovvero la sensazione che le atlete sin dalle categorie giovanili corressero unite e da squadra, si sono rivelate vere in questi primi 4 mesi in questo team. Qui è come essere in una famiglia”.

Hai nominato la parola “famiglia”: non posso non chiederti di tua sorella Soraya, splendida atleta dell’Alè Cipollini. Qual è il tuo rapporto con lei?
“Siamo molto legate e abbiamo sempre corso insieme fino a due anni fa. Correre in due squadre diverse ha aiutato entrambe a maturare sia dal punto di vista sportivo, sia dal punto di vista umano. Ciclisticamente siamo completamente differenti, per cui abbiamo un occhio di riguardo l’una per l’altra e difficilmente saremo in competizione”.

Talmente legate che qui vedo il nome “Soraya” tatuato sul tuo polso…
“Sì, è il regalo che ci siamo fatte per i nostri 18 anni. Lei, a sua volta, ha un tatuaggio con il mio nome”.

E quest’altro tatuaggio che cos’è?
“In questo tatuaggio c’è scritto Keep Smiling. Me lo sono fatta quando mi sono rotta costole, scapola e clavicola. Le cose non sono andate bene negli ultimi due anni, ma bisogna saper sorridere sempre, nonostante la sfortuna”.

Un’ottima filosofia di vita, direi. Un’ultima domanda, Asja. Da quest’anno hai incominciato anche ad allenare un gruppo di giovanissimi…
“Sì, alleno i ragazzi del Pedale Opitergino. Avendo fatto tutta la trafila giovanile partendo dai G1, so cosa significa il ciclismo a quell’età. A me piacerebbe che il ciclismo cresca e per far sì che accada, bisogna incominciare dalle categorie giovanili. I ragazzi si devono divertire. Ci sono troppi allenatori che li esasperano sin da piccoli: mi piacerebbe invece trasmettere serenità e lasciare che a quest’età i bambini siano felici. E poi, a dire il vero, sono loro ad essere utili a me: mi fanno maturare, mi insegnano ad essere più paziente, mi fanno stare bene. E così mi fanno tornare a casa con il sorriso sulle labbra”.