Una chiacchierata con Pietro Rosino Santini: l’amicizia con Gimondi, le maglie, i campioni e una vita nel ciclismo
LALLIO (BG) – Ci sono storie di uomini che vale sempre la pena raccontare. Vicende di uomini che raccontano al tempo stesso la storia di un’azienda, di un’impresa, in senso lato, la storia di un sogno diventato realtà. Storie di lavoro, di impegno, di sacrificio, di coraggio. Storie che sono ispiranti.
Una di queste è sicuramente quella del cavalier Pietro Rosino Santini, fondatore e presidente di Santini Maglificio Sportivo di Lallio, che partito oltre 50 anni fa da un piccolo garage del Bergamasco ha creato una delle aziende di riferimento per l’abbigliamento sportivo, in particolare ciclistico, a livello mondiale. Un marchio che da oltre 30 anni è partner della maglia iridata dell’UCI, ha vestito le più grandi squadre e i campioni più vincenti, un marchio che ha scritto la storia del ciclismo e che è ormai entrato nel mito di questo sport. Negli spessi tessuti di lana del dopoguerra fino ai più moderni tessuti leggeri e performanti che hanno reso queste maglie delle icone è scritta la storia di questa azienda.
Il motivo del nostro incontro, avvenuto un paio di mesi fa, è per raccogliere una sua testimonianza in ricordo di Felice Gimondi, l’amico di una vita, entrambi classe 1942. Stavamo scrivendo il nostro Almanacco del Ciclismo Bergamasco 2019 e avevamo deciso di dedicare delle pagine a Felice. Ci piaceva l’idea di raccogliere i ricordi di quelle persone che lo hanno vissuto più da vicino. Non poteva mancare “Roso”, così come lo chiamava Gimondi, come lo chiamano gli amici più cari. Uno degli imprenditori più noti del mondo del ciclismo, un grande appassionato. Ne abbiamo approfittato per fare una lunga chiacchierata con lui. Per conoscere meglio l’uomo e l’imprenditore. Ci ha raccontato la sua vita. Ci sembrava significativo raccontarla anche a voi.
L’AMICIZIA CON FELICE GIMONDI E L’AMORE PER IL CICLISMO – “I primissimi ricordi che ho di Felice vanno indietro di tanti anni, quando ero ragazzino e con la maglia dell’Uc Sforzatica avevo partecipato a qualche gara in provincia, ma ho capito subito che non era il mio mestiere”, sorride. “A quei tempi – prosegue nel suo ricordo Santini – tra i più forti c’erano proprio Felice Gimondi e Gianni Motta. Io ci mettevo impegno, ma non bastava. Tanto è vero che quando io arrivavo al traguardo loro erano già andati a casa. La bicicletta ho comunque continuato ad usarla e ci vado ancora oggi, come cicloturista. Tornando a Felice, è poi diventato un campione e io ero semplicemente un suo grande tifoso. Il rapporto più stretto tra noi è nato quando lui, ormai già campionissimo, era venuto alcune volte al velodromo di Dalmine anche ad allenarsi con gli azzurri della pista e io ero coinvolto con la Polisportiva come organizzatore e così ho avuto modo di conoscerlo un po’ di più e col tempo è cresciuta la nostra amicizia. Sono poi nati anche i rapporti di lavoro. Qualche anno dopo ho fornito la squadra Bianchi con i miei prodotti, siamo sempre stati vicini alle sue manifestazioni e il nostro rapporto si è fatto sempre più stretto, anche con le rispettive famiglie. Eravamo molto legati e la sua morte mi ha colpito molto perché ci ho sofferto parecchio. Felice era una persona di carattere, ma era anche molto generoso e altruista. Era un grande personaggio, un campione, ma anche un uomo rispettato. Con lui tutte le porte erano aperte perché si era costruito una grande credibilità. Felice era un bergamasco e dire ciò non è solo una connotazione geografica, ma era portatore dei valori della nostra terra. Felice era una di quelle persone per cui la parola contava più della firma. Ci siamo aiutati tanto anche nei rispettivi rapporti di lavoro. Mi ha fatto conoscere tante persone, campioni ed imprenditori. Io sapevo di poter contare su di lui e lui sapeva di poter contare su di me quando ce n’era bisogno”.
L’UC SFORZATICA E IL VELODROMO DI DALMINE – L’impegno di Santini e della sua famiglia è da sempre vicino anche all’attività sportiva della società di casa, l’Uc Sforzatica, supportata in modo particolare negli ultimi anni. “La società praticamente stava chiudendo i battenti. Erano rimasti solo un paio di ragazzini e allora mia figlia Monica ha chiamato il presidente, abbiamo fatto una riunione e abbiamo deciso che non doveva chiudere questa società storica e lei si è impegnata in prima persona per aiutarli ad andare avanti. Tra l’altro ora anche suo figlio, mio nipote, ogni tanto fa qualche gara tra i Giovanissimi. L’Uc Sforzatica è una società che si impegna anche per l’attività al Velodromo di Dalmine. Per me è qualcosa di molto importante – ammette Santini –. Io ho vissuto la pista per 50 anni. Quando frequentavo ancora alle scuole elementari, c’era il CT della pista Costa che radunava spesso gli azzurri qui a Dalmine e venivano ad allenarsi grandi campioni. Alloggiavano nelle mie scuole elementari, perché d’estate erano chiuse, poi andavano a mangiare alla mensa della Dalmine. Alla mattina uscivano su strada e poi al pomeriggio si allenavano in pista e io ero là, tutti i giorni, attaccato alla rete del velodromo per vedere da vicino questi campioni. In quel momento è nata la mia passione per il ciclismo. La pista di Dalmine ha una tradizione importante perché negli anni si sono fatte delle riunioni prestigiose. Quando poi sono cresciuto abbiamo creato la Polisportiva Dalmine. Eravamo un gruppo di appassionati di ciclismo, tutti dalminese e ci siamo impegnati per fare attività al velodromo. Abbiamo ospitato Campionati Italiani Assoluti, abbiamo ospitato parecchi incontri internazionali soprattutto a livello dilettantistico. Abbiamo fatto anche interventi importanti per la sistemazione dell’impianto. In occasione dei Campionati Italiani abbiamo rifatto le tribune, poi il manto della pista e in quell’occasione devo dire che ci ha dato un grande aiuto il compianto dottor Squinzi con la Mapei, che era un grande amico di famiglia, oltre che un nostro cliente con la sua squadra. Ci ha fornito i materiali gratuitamente e abbiamo pagato solo i posatori. Oggi, purtroppo, ci sarebbe bisogno di altri interventi di sistemazione e servirebbero anche forze giovani nello staff per portare avanti le cose, ma non è semplice”.
GLI INIZI IN CASA E IN UN GARAGE – Ma il cavalier Pietro Rosino Santini ha costruito la sua fama soprattutto col lavoro. “A volte nella vita sono le combinazioni a portarti a percorre una strada anziché un’altra. Durante il periodo delle vacanze scolastiche estive – racconta –, ai quei tempi non si stava a casa a fare niente, mio padre, che lavorava alla Dalmine, mi mandò a Levate dai figli del suo caporeparto, i quali avevano un’officina dove riparavano le biciclette e facevano i fabbri. Da loro ho imparato un po’ il mestiere e ad aggiustare le forature delle bici. Dopo le scuole medie, come molti altri ragazzi, speravo di entrare alla Dalmine, a quei tempi si diceva che essere assunti lì voleva dire avere il pane per tutta la vita, ma non mi hanno mai chiamato. Ho poi cominciato a lavorare in un’officina meccanica a Curnasco che operava per conto terzi sempre per la Dalmine. Arrivano i camion con dei tubi, li scaricavano, c’erano delle flange e noi dovevamo saldare questi tubi che poi servivano per costruire dei capannoni. Un giorno mentre saldavo, sbagliai un fissaggio ed uno di questi tubi mi cadde sul piede e mi fratturai il metatarso. Ingessato e a casa a riposo per 40 giorni. Una condanna. Le mie sorelle Maria e Natalina facevano le magliaie in casa. Avevano in cucina due macchine e svolgevano dei lavoretti di maglieria per i privati. Allora io, intanto che ero lì a far niente con la gamba ingessata, iniziai a dare loro una mano. A un certo punto mi sono detto sai che piuttosto che stare là a respirare il fumo degli elettrodi, a prendere il ferro freddo quando fa freddo, caldo quando fa caldo, quasi quasi è meglio fare questo lavoro. Allora ne parlo con le mie sorelle, poi con i miei genitori. All’inizio mio padre non fu molto d’accordo. Passati poi un po’ di giorni, tolsi il gesso, ma mi era rimasta questa passione. Ne avevo parlato anche con il venditore della macchina di maglieria che ogni tanto passava da casa per vendere i nuovi aghi. E mi disse che, se volevo, aveva a disposizione una macchina che lavorava in modo automatico. Siamo andati a vederla con mio papà. Nel frattempo avevo contatto un grosso laboratorio di maglieria di Bergamo che ci poteva passare del lavoro. E così abbiamo iniziato. Avevo 15 anni. Abbiamo poi comprato un’altra macchina automatica ancora più grossa e poi anche un garage a Sforzatica perché serviva uno spazio maggiore. Avevo 16-17 anni, la macchina costava 10 Milioni di lire e mio papà firmò delle cambiali per me. Al momento della firma mi disse: ‘Non farmi fare figure’. Quella frase mi è rimasta nella testa. Siamo riusciti a prendere dei lavori per conto del marchio Silvy Tricot che produceva abbigliamento da sci. Lavoravamo giorno e notte per pagare quelle cambiali. Abbiamo poi comprato un laboratorio più grande, altre macchine e abbiamo aumentato la produzione. Siamo cresciuti sempre e nel 1965 è nato ufficialmente Santini Maglificio Sportivo”.
LE PRIME DIVISE PER I CICLISTI – Anche l’idea delle divise da ciclismo nasce quasi per un caso. “Seguivo le corse per passione, lavoravamo a maglia e un giorno un amico mi chiese di fare anche le maglie per i corridori. Le prime maglie le abbiamo fatte all’Uc Sforzatica, che era la società di casa. Poi da lì col passa parola hanno iniziato le varie squadre a chiederci informazioni. Un po’ alla volta il lavoro delle squadre di ciclismo è diventato talmente grande che abbiamo detto a Silvy Tricot che non avremmo più collaborato con loro. Da qui è partito tutto il nostro impegno legato al mondo del ciclismo. Abbiamo preso un altro laboratorio a Brembo, nuove macchine, personale ed il giro è diventato sempre più importante. Da più di 20 anni siamo nella nostra attuale sede di Lallio, anche se poi nel corso degli anni ci siamo sempre più ingranditi, acquistando altri capannoni qui vicino e siamo arrivati ai massimi livelli del ciclismo fino a diventare anche i fornitori ufficiali dell’Unione Ciclistica Internazionale”.
SANTINI FIRMA LA MAGLIA DEI CAMPIONI DEL MONDO – “Abbiamo festeggiato i 30 anni di collaborazione con l’UCI agli ultimi Mondiali. La prima maglia iridata col nostro marchio l’ha indossata Maurizio Fondriest nel 1988 in Belgio. Noi avevamo un distributore in Belgio, l’ex corridore professionista Frans Verbeke, che era molto amico con il presidente della Federciclismo Belga. Quell’anno dovevano organizzare loro il Mondiale. Allora chi organizzava doveva occuparsi di tutto, anche delle maglie e quindi si erano rivolti a noi. Poi dopo qualche tempo abbiamo firmato un contratto direttamente con l’UCI ed è nato questo rapporto che continua ancora oggi. È stata una bella avventura”, ammette con gli occhi pieni di soddisfazione Santini.
MAGLIE E CAMPIONI – “Ho avuto la possibilità di vestire e di avere anche dei rapporti di amicizia con campioni grandissimi – afferma subito Santini –. Il primo che mi viene in mente è Bernard Hinault. Gli ho visto fare imprese incredibili, era un atleta testardo che la bicicletta l’avrebbe mangiata pur di non mollare. Le sue vittorie lo stanno a dimostrare. Aveva un carattere molto forte, lui non voleva solo vincere, ma voleva stravincere. Ho seguito tanti nomi, penso a Pantani, Bugno, ma sono particolarmente legato ad Oscar Freire, che ha vinto tre Mondiali e quando mi incontra ancora oggi mi abbraccia sempre. È un ragazzo molto simpatico. Era uno che quando puntava a vincere, difficilmente sbagliava. Devo dire che ho un rapporto particolare soprattutto con i corridori più vecchi. Oggi con i giovani si ha un po’ meno rapporto anche perché è cambiato tutto. Una volta una squadra aveva 14-15 corridori, e li conoscevi tutti. Adesso sono trenta corridori, quasi non si conoscono nemmeno tra loro. Qualcuno viene qui in azienda a provare i prodotti, ma c’è sempre un rapporto molto formale e incentrato soprattutto sulla ricerca della perfezione tecnologica, che è diventata centrale anche nell’abbigliamento”.
LA MAGLIA SPECIALE PER SARONNI – Parlando di campioni, Santini rammenta un episodio speciale legato a Giuseppe Saronni. “Doveva fare una cronometro al Giro d’Italia. Mi telefonò Ernesto Colnago e mi disse: ‘Mi hanno detto che tu fai delle maglie di seta speciali per la cronometro. Ti mando lì Beppe così gli fai un bel lavoro’. Non era seta, ma era un tessuto sintetico ma molto scivoloso – precisa il cavaliere –. Abbiamo prodotto quella maglia solo per lui. Combinazione aveva vinto e aveva anche battuto Moser che a cronometro era più forte. Quel giorno alla televisione non hanno fatto in tempo a dire chi aveva vinto che mi suona il telefono. Era Ernesto che tutto euforico mi chiedeva se avessi visto la vittoria. E poi Saronni in diretta sulla Rai, durante l’intervista con De Zan, mi aveva ringraziato pubblicamente per aver preparato quella maglia. Certamente il ciclismo di allora non aveva nulla a che vedere con quello di oggi, a livello di materiali, cura, tecnologia, ma forse aveva un fascino diverso e in più con i corridori avevi un’amicizia. Oggi vado al Giro, al Tour, alla Vuelta e anche per me è difficile instaurare un rapporto con loro. Figuriamoci per la gente”, chiosa Santini con un filo di amarezza.
LA MAGLIA PIÙ BELLA – La sede di Santini Maglificio Sportivo è un museo. Le maglie, le fotografie dei campioni e delle loro imprese, raccontano la storia di 50 anni di ciclismo. Sono davvero tante le maglie che sono uscite dalla Santini. Ma qual è la preferita dal cavaliere? “Senza dubbio quella di La Vie Claire, la formazione professionistica francese di metà anni Ottanta. Perché è stata una maglia che ha rivoluzionato il sistema dell’abbigliamento ciclistico. Noi siamo stati quelli che le hanno prodotte ma il merito e l’idea è stata del patron della squadra Bernard Tapie. Era un politico e imprenditore francese. In quel momento aveva acquistato La Vie Claire che era una società di cosmetici. Ha investito, l’ha rilanciata e poi l’ha messa come nome della squadra. Era un grande appassionato di ciclismo e ad un certo momento si era messo in testa di fare una squadra ciclistica e per indole lui voleva essere sempre il primo in tutto. Era il 1984: prese alcuni dei migliori corridori tra i quali Hinault e LeMond e costruì una bella squadra. Al momento di fare la maglia arrivò da noi con la fotografia di un quadro di Piet Mondrian, pittore olandese, e disse che la maglia doveva essere così con quel disegno. Quando la vidi, confesso che mi si rizzarono i capelli perché il disegno era piuttosto complicato da realizzare essendo tutta colorata e soprattutto con quelle righe nere. Ci siamo ingegnati, abbiamo prodotto chilometri di fettuccia nera che poi cucivamo in un secondo momento sulla maglia, un vero e proprio assemblaggio. Un’inedita composizione geometrica di colori dal fortissimo impatto visivo. È stato un lavoraccio, ma questa maglia credo sia rimasta nella storia”.
LA TRATTATIVA CON MARCO PANTANI – Un altro momento che Santini ricorda con piacere è legato di nuovo all’amicizia con Felice Gimondi ed è la trattativa di Bianchi con Mercatone Uno per assicurarsi le prestazioni di Marco Pantani. “Io e Felice Gimondi siamo andati a Bologna per incontrare Pantani che la Bianchi voleva ingaggiare. Ovviamente la Bianchi per questa operazione aveva fatto muovere Gimondi in prima persona. Felice mi aveva chiamato e mi aveva spiegato la situazione. La Bianchi da parte sua gli aveva fornito una certa disponibilità però coinvolse anche me perché potessi da parte mia fornire delle garanzie anche per quanto riguardava la fornitura dell’abbigliamento. Abbiamo avuto questo incontro con Romano Cenni, titolare della Mercatone Uno, e Pantani che arrivò con le stampelle perché qualche mese prima era caduto e si era fratturato la gamba. Abbiamo discusso, in quella sede non è stato firmato nessun contratto, ma ci siamo solamente stretti la mano e la sola presenza di Gimondi ha fatto da garante all’operazione. C’è da dire che anche da parte nostra, però, avevamo fatto un accordo con un corridore che andava con le stampelle, quindi c’era anche un certo rischio. Fortunatamente poi Pantani si era ripreso e ha fatto quello che ha fatto”.
IL RILANCIO DELLA PISTA ITALIANA – Santini è un grande appassionato di ciclismo e, come ci ha confessato in apertura, ha un amore particolare per la pista. Sarà felice di vedere una rinascita di questo movimento anche in Italia? “Dopo quei grandi anni e il crollo del Palazzo dello Sport di Milano c’è stato un periodo piuttosto buio per la pista italiana – ammette Santini –. Non c’era più probabilmente nemmeno a livello federale una spinta o un impegno perché la pista riprendesse il suo giusto corso. Però in questi ultimi anni le cose sono cambiate. C’è da dire che il livello del ciclismo è cresciuto tantissimo. Forse è andato anche più in là di quello che sarebbe opportuno. Oggi i materiali, la tecnologia, la preparazione, gli impianti sono migliorati e di conseguenza anche le prestazioni sono diventate di livello sempre più alto. Penso ad esempio ai Record dell’ora. E devo dire che l’Italia in questi ultimi anni ha fatto cose veramente straordinarie. Soprattutto se consideriamo che non abbiamo impianti per allenarci, se escludiamo Montichiari. Vedo il quartetto che sta facendo tempi sempre migliori e chissà che un giorno non riescano a vincere il Mondiale. E poi c’è stata una grande evoluzione anche del ciclismo femminile. Ritengo che la pista sia una disciplina che dà la possibilità ai corridori di emergere anche su strada”.
LA FAMIGLIA – Uno dei segreti del Maglificio Sportivo Santini è la famiglia. Alla base di una grande azienda, spesso c’è anche una grande famiglia. È il caso anche dei Santini. Al fianco di Pietro c’è sempre stata la moglie Maria Rosa e oggi le figlie Monica e Paola sono di fatto a capo dell’azienda che dà lavoro a quasi 100 persone. “Io lavoro sempre, ma sono le mie figlie ormai che guidano l’azienda. Sempre nel rispetto della mia figura perché non decidono mai nulla senza essersi prima confrontate con me, ma io stesso quando vedo che credono in un progetto nuovo e nelle loro idee le lascio sempre agire. Siamo stati fortunati ad avere delle figlie che hanno deciso di continuare il nostro lavoro. Abbiamo fatto tanti sacrifici, le abbiamo fatte studiare, sono state all’estero a lavorare, hanno imparato le lingue e poi quando sono rientrate hanno dato nuovo impulso all’azienda. Da decenni siamo leader nel nostro settore specifico e al giorno d’oggi non è certo una cosa semplice”, conclude con un sorriso pieno di orgoglio il cavalier Santini. Infine, aggiunge: “La mia passione per il ciclismo è poi diventata una professione, le due cose si sono unite nella mia attività che mi ha permesso di vivere esperienze davvero belle”.
(Servizio a cura di Giorgio Torre)
foto archivio Santini Maglificio Sportivo