Ai tempi del Coronavirus c’è chi pedala più di tutti: sono i rider, consegne a domicilio tra difficoltà e tutele da conquistare
MILANO (MI) – C’è una categoria di ciclisti che in queste settimane di emergenza Coronavirus sta pedalando e come. Sono i cosiddetti rider, quei fattorini in bici che effettuano consegne a domicilio, che normalmente prenotiamo tramite una app di food delivery. Mai così preziosi e a volte indispensabili come in questo particolare frangente storico.
RIDER FONDAMENTALI PER LA CONSEGNA DI PRANZO E CENA A DOMICILIO – Con le misure messe in atto dal Governo italiano, bar e ristoranti devono restare chiusi al pubblico e possono lavorare solo tramite servizi di consegna a domicilio «nel rispetto delle norme igienico-sanitarie sia per l’attività di confezionamento che di trasporto». Si possono quindi ordinare pranzi e cene a domicilio e i rider diventano una risorsa fondamentale per gli esercizi commerciali. In Italia i rider sono circa 15.000 tra chi lavora a tempo pieno e non. In questo periodo il lavoro è sicuramente aumentato, ma come loro stessi hanno denunciato non sempre le condizioni che gli sono date per lavorare sono il massimo della tutela della salute e non solo. Per questo motivo, soprattutto nei primi giorni dell’emergenza, molti corrieri che hanno bambini piccoli o persone anziane in casa con problemi respiratori stanno scegliendo di non lavorare, o comunque non con la stessa frequenza di prima.
SERVIVANO PIÙ TUTELE – Nelle scorse settimane, sui media italiani, si era aperto il dibattito riguardante le condizioni igenico-sanitarie a cui i rider avrebbero dovuto attenersi per svolgere il loro lavoro, inizialmente non particolarmente supportato dalle piattaforme che gestiscono il servizio. Ad Rtl 102.5 Nicolò Montesi, 23 anni, rider da due a Roma per dieci ore al giorno e presidente dell’Anar, l’Associazione nazionale autonoma dei rider che conta 678 iscritti, aveva raccontato come si era premunito: quattro mascherine con i filtri, un pacco di guanti in lattice usa e getta, due confezioni grandi di amuchina e una piccola, per un totale 75 euro. “Adesso che mi proteggo e che mi sono informato bene sulle regole da seguire per evitare di essere contagiato, ho meno paura”, ha raccontato all’emittente radiofonica.
“Giro in motorino e cambio i guanti ogni tre consegne – ha spiega Nicolò sempre a Rtl 102.5 – Il virus resta per un tot di ore anche sugli oggetti e quindi cerchiamo di stare attenti quando maneggiamo buste e cartoni. Inoltre, indosso sempre la mascherina e quando non ho i guanti disinfetto le mani”. Ci sono altre precauzioni: “Quando arrivo all’indirizzo che mi è stato dato, citofono ai clienti e dico di lasciare l’importo fuori, sul tappetino davanti alla porta. Anche io lascio tutto fuori, a terra o appeso alla maniglia, e lo stesso faccio con il resto, se i soldi sono troppi. I clienti capiscono, e se non sono loro a dirmelo quando citofono, sono io a dire loro che lo faccio per tutelare me e loro”.
LE PROTESTE DELLE SCORSE SETTIMANE – Dopo i primi giorni dove a regnare è stata un po’ la confusione, è partita la protesta dei rider, a cominciare da quelli torinesi del collettivo Deliverance Project, che hanno lanciato un appello a Giuseppe Conte, presidente del Consiglio dei ministri, volto a chiedere lo «stop ai servizi di consegna e reddito garantito per i rider lasciati a casa». Questo anche perchè, come anticipato, i rider proseguivano il loro servizio senza che la piattaforma per la quale effettuavano le consegne avesse fornito loro quei dispositivi di protezione individuale che tutte le aziende italiane dovrebbero ora mettere a disposizione dei propri dipendenti. E proprio qui sta l’inghippo della questione: le piattaforme di consegna del cibo a domicilio come Deliveroo, Glovo, Just Eat, Foodys, SocialFood o Uber Eats (che ha sospeso il servizio di consegne a domicilio in alcune città), si considerano come semplici mediatori tra ristoranti e lavoratori e non veri e propri datori di lavoro, con tutte le conseguenze del caso. Un decreto approvato nell’agosto 2019 ha deluso i rider, poiché viene prevista una combinazione di paga oraria, che scatta se si accetta almeno una consegna ogni ora, e il cottimo.
CONSEGNA SENZA CONTATTO – Per garantire una maggiore sicurezza ai clienti e ai fattorini, la principale iniziativa delle maggiori piattaforme di food delivery è stata l’introduzione della “Consegna senza contatto”: è stato abolito l’obbligo di firma digitale per i clienti, da fare sullo schermo dello smartphone dei rider, che in precedenza era necessaria per certificare l’avvenuta consegna, e sono state diffuse delle istruzioni per fare le consegne a distanza. Deliveroo lo ha spiegato ai propri fattorini con un video. La consegna senza contatto è una delle raccomandazioni presenti anche in una serie di linee guida messe insieme dalla FIPE e da Assodelivery, l’associazione che riunisce le piattaforme di delivery food internazionali presenti in Italia.
UN FONDO DI SUPPORTO PER I RIDER MALATI – Nei giorni scorsi Deliveroo ha annunciato un “fondo di supporto” per i rider, che fa sì che coloro che contraggono il virus Covid-19 o quelli a cui è stato ordinato di isolarsi da un’autorità medica potranno avere diritto a un sostegno finanziario. “La sicurezza dei nostri rider e clienti – dichiara Matteo Sarzana, General Manager di Deliveroo Italy – è la nostra massima priorità. Ecco perché abbiamo lanciato un nuovo servizio di consegna senza contatto. Clienti e rider possono richiedere nell’app che il cibo venga lasciato in modo sicuro a portata di mano. Rimaniamo in contatto quotidiano con le autorità sanitarie per assicurarci di offrire il servizio più sicuro possibile a clienti, rider e ristoranti”. Anche altre piattaforme hanno deciso di seguire strade similari.
MA SE I CICLOMECCANICI SONO CHIUSI? – La denuncia delle due associazioni Salvaiciclisti Bologna e Roma ieri ha aperto un’altra questione che rischia di mettere a rischio la professione dei rider. Meccanici di automobili e motocicli sono tra le attività consentite dall’ultimo decreto del governo, ma restano fuori le officine per la riparazione delle biciclette, mettendo a rischio anche chi consegna il cibo a domicilio. “L’assurdità di tenere fuori dalle attività che possono rimanere aperte i ciclomeccanici: una grave dimenticanza, e significa rendere complessa una situazione già durissima per tutta la società civile, specialmente nelle città, dove la bicicletta rappresenta per molti una risorsa imprescindibile”, hanno riferito le associazioni all’agenzia Adnkronos.
LA BICICLETTA PER MOLTI È UNO STRUMENTO DI LAVORO – La ragione della dimenticanza, dice Simona Larghetti, presidentessa della Consulta della bici di Bologna e della locale associazione Salvaiciclisti, nella “classificazione Ateco Istat delle attività chi ripara biciclette: è accomunata a quelle di chi ripara attrezzatura da campeggio e articoli sportivi, tra quelle non essenziali. Nel mondo reale però la bicicletta un mezzo di trasporto, a volte l’unico, un mezzo di trasporto per cui la manutenzione è necessaria. Tra questi ci sono anche medici e infermieri, che ci scrivono preoccupati in queste ore. Per molti altri ancora la bicicletta è uno strumento di lavoro, per esempio per i numerosissimi ciclofattorini che ci portano a casa i pasti a domicilio o ai corrieri sui quali si sono riversate tutte le richieste di spesa a domicilio. Tralasciare dall’assistenza meccanica queste categorie di lavoratori, già vessate dall’assenza di tutele assicurative e sindacali, è una grave dimenticanza”.
Siamo stati tra i primi a sposare e suggerire a tutti i ciclisti lo slogan #iorestoacasa, a tutela della salute pubblica, anche quando il decreto ministeriale non era così restrittivo nei confronti degli sportivi. Crediamo però che le Istituzioni dovrebbero avere un’accortezza maggiore nei casi di quelle persone che in questi momenti difficili hanno optato per la bicicletta quale mezzo di trasporto ecologico e che non crea in alcun modo assembramenti e che con il loro mestiere sono utili, se non essenziali, alla collettività.