MILANO (MI) – Il ciclista colombiano Fernando Gaviria della UAE Team Emirates lo scorso marzo era stato il primo ciclista professionista al mondo a rimanere contagiato dal Covid-19. La positività venne scoperta ad Abu Dhabi durante l’UAE Tour e il velocista (all’epoca lievemente sintomatico) fu costretto a una lunghissima quarantena in una struttura ospedaliera emiratina.

Poi, dopo il lockdown, è tornato a correre e anche a vincere, anche in Italia ha conquistato il Giro della Toscana il mese scorso, ora era tra i protagonisti al Giro d’Italia, ma ieri è stato costretto ad abbandonare la corsa e a tornare in quarantena in quanto lo sprinter sudamericano è risultato di nuovo positivo all’ultimo tampone molecolare effettuato nel secondo giorno di riposo del Giro.




Quindi di Covid-19 ci si può riammalare?

È una domanda che si pongono molte persone che hanno già incontrato il Coronavirus nei mesi scorsi.

Un articolo pubblicato ieri su Corriere.it a firma di Silvia Turin che si è avvalsa della consulenza di Sergio Abrignani, immunologo, ordinario di Patologia generale all’Università Statale di Milano e direttore dell’Istituto nazionale di genetica molecolare “Romeo ed Enrica Invernizzi” ha provato a rispondere a questa domanda e a fare un po’ di chiarezza sul caso specifico di Gaviria.

Evidentemente la risposta è “sì”, ci si può riammalare di Covid-19, anche se è un evento molto raro. Su 40 milioni di persone abbiamo notizia certa di una ventina di casi confermati da analisi di laboratorio. Ovviamente esisteranno molte più persone che non sono “censite” e si sono riammalate, ma per ora la proporzione sembra veramente minima, scrive il Corriere.

La seconda infezione può essere peggiore della prima?

Sì, in alcuni casi lo è stata, come quello del 25enne del Nevada o quello (per ora unico) della donna morta dopo la seconda infezione, ma si trattava di una donna malata di tumore da tempo. Probabilmente stiamo sottostimando il numero di reinfezioni asintomatiche che potrebbero essere la maggioranza, ma ci sono sicuramente alcune persone che semplicemente non sviluppano buone risposte immunitarie a determinati agenti patogeni e che quindi, non sviluppando una buona memoria immunologica, possono essere reinfettate anche dopo breve tempo dallo stesso microorganismo.

Per quanto tempo siamo immuni dopo aver contratto il Covid-19?

La maggior parte di chi si ammala di Covid-19 sviluppa anticorpi entro poche settimane. Le reinfezioni possono verificarsi per deficit qualitativi o quantitativi della risposta immunitaria, in alcuni casi dovuti a un’infezione troppo lieve cioè a bassa carica virale che quindi induce una risposta immunitaria limitata, in altri casi perché il sistema immunitario era compromesso da altri problemi di salute. Ma non sappiamo ancora per quanto tempo restiamo immuni, di sicuro in parte varia da persona a persona. Potrebbero essere mesi, quindi un tipo di immunità simile a quella che conferiscono gli altri coronavirus (come i raffreddori) oppure qualche anno come in chi aveva contratto il virus cugino della SARS1.

Gli asintomatici sono più a rischio reinfezione?

Il problema è che la stragrande maggioranza delle persone o non presenta sintomi o si ammala in modo blando: in questo caso non sappiamo se la risposta immunitaria indotta dall’infezione, di cui la presenza di anticorpi è una spia, sia davvero protettiva o se queste persone rischiano maggiormente una nuova infezione.

Chi è già stato ammalato ed è guarito deve osservare gli stessi obblighi di chi non ha mai contratto il Covid-19?

Per questa incertezza sulla durata dell’immunità, chi ha già contratto il Covid-19 ed è guarito, dal punto di vista delle misure di contenimento in atto in Italia (e nel mondo) non ha obblighi diversi dalle altre persone: deve indossare la mascherina e deve essere sottoposto a tampone e quarantena nei casi disposti dalla legge.

Che cosa significa per il futuro vaccino il fatto che l’immunità si possa perdere?

I vaccini possono anche essere manipolati per migliorare la memoria immunitaria, producendo in questo modo risposte più durature e protettive. L’immunità indotta dal vaccino dovrebbe funzionare meglio dell’immunità naturale. Per quanto tempo? Secondo alcuni scienziati il virus potrebbe tornare a infettare di nuovo le stesse persone, anno dopo anno, come accade nelle influenze più comuni, ma è un’ipotesi da confermare attraverso ulteriori test clinici. Ancora non lo sappiamo.

Che cosa implicano i casi di reinfezione sull’obiettivo teorico dell’immunità di gregge?

I casi di reinfezioni suggeriscono cautela sull’affidarci all’immunità acquisita tramite l’infezione naturale per ottenere l’immunità di gregge. Questa strategia non solo causerebbe la morte di molte persone, ma forse neppure funzionerebbe bene. Peraltro bisognerebbe che fosse infettato almeno il 60-70 per cento della popolazione: in Italia siamo arrivati dopo la prima ondata ad appena il 2,5%. L’ottenimento dell’immunità di gregge non è mai stato cercato per via “naturale” nella storia delle pandemie, invece richiede vaccini sicuri ed efficaci e una vaccinazione diffusa della popolazione, come scritto da un gruppo di 80 ricercatori in una lettera aperta pubblicata sulla rivista The Lancet.

(estratto dall’articolo pubblicato ieri su Corriere.it)




Sulla Gazzetta dello Sport di oggi il dottor Maurizio Pregliasco direttore sanitario dell’Istituto Galeazzi di Milano, in merito alla nuova positività al Covid-19 di Fernando Gaviria ha invece spiegato: «In questi casi si ritiene che il soggetto abbia una carica virale molto forte. In sostanza si tratta di un residuo della stessa positività di inizio anno. Il tampone negativo a inizio gara può non essere indicativo. Tendo invece a escludere che siamo di fronte a una nuova, diversa positività: i casi di reinfezione dimostrati in tutto il mondo sono solo 22, dei quali uno solo ha portato alla morte di un paziente, una persona anziana».