Il Nobel per la pace alla bicicletta si sta facendo un argomento sempre più serio dopo che Paola Gianotti è arrivata a Oslo in bicicletta dopo undici giorni di pedalata invernale (lei ha fatto il giro del mondo in bicicletta, non si ferma davanti a niente) per consegnare le firme al comitato organizzatore. Ora all’iniziativa lanciata dalla trasmissione radiofonica italiana Caterpillar (scopri maggiori dettagli) si aggiunge una nuova notizia: il comitato norvegese per il Nobel per la Pace ha accettato la candidatura della squadra femminile della federazione ciclistica dell’Afghanistan proposta da 118 parlamentari italiani di tutti i gruppi politici.
Quindi la candidatura della bicicletta ha preso “corpo” attraverso le ragazze afghane che si allenano contro una realtà che certo non è facile. Le donne afghane sfidano la guerra, sfidano i proiettili vaganti, ma soprattutto sfidano i pregiudizi, l’ostilità di una larga parte dell’opinione pubblica.
Sono ragazze appassionate di ciclismo, ma sono soprattutto ragazze che amano la libertà, che vogliono affermare la dignità di un popolo e in particolare delle donne di quel popolo. E per farlo hanno scelto la bicicletta, che davvero è simbolo di libertà, di rispetto di sé e degli altri, di rispetto della natura. Strumento di ecologia e di pace.
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Ma non si può conferire il premio Nobel a uno strumento meccanico, per quanto sia la nostra amata bicicletta. Il premio Nobel va sempre alle persone. Sono le persone il centro di tutto, la bicicletta in sé è uno strumento, è qualcosa di neutro. Se la lasci in cantina o in garage, non serve a nulla. Se la lucidi tutti i giorni e poi per fare due chilometri e andare in ufficio usi l’automobile, non serve a nulla. Magari gratifica un desiderio, nulla di più. Ho un amico che tiene la sua meravigliosa Bianchi Oltre in garage. Ne è tutto orgoglioso. E non la usa mai. Come non averla.
La bicicletta porta la pace, porta il rispetto per la natura, per gli uomini, per i bambini, per l’arte soltanto se ci sono uomini e donne che la usano. Come in Afghanistan. Contro tutti. Noi ciclisti che sudiamo sulla nostra bici da corsa salendo sul Selvino, noi ciclisti che tutti i giorni raggiungiamo l’ufficio sulla nostra bicicletta da città pure sfidiamo ancora tanto pregiudizio contro i ciclisti “che rallentano il traffico”, sfidiamo automobilisti indisciplinati che mettono a repentaglio quotidianamente la nostra vita, sfidiamo il fumo che esce dalle vetture e ci entra nei polmoni. Ma sì, se quel premio Nobel andrà alle cicliste afghane, andrà al viaggiare in bicicletta, andrà quindi anche a tutti noi.
Buone pedalate!