MARYLAND (STATI UNITI) – La settimana scorsa è diventato virale il video di un ciclista che aggrediva una bambina che stava appendendo dei manifesti sulla morte di George Floyd, l’uomo di colore che il 25 maggio 2020, nella città di Minneapolis, è morto dopo essere stato soffocato dal ginocchio di un agente di polizia.

Il video del ciclista, che ha superato i 30 milioni di visualizzazioni (vedi qui sotto) ha creato sdegno e indignazione. Era stato girato in Maryland, e mostrava anche l’uomo inseguire e urtare un adulto con la sua bici. La polizia locale aveva chiesto aiuto su Twitter per identificare l’aggressore. Qualche sera dopo, ha raccontato il sito The Intelligencer, Peter Weinberg iniziò a ricevere messaggi di insulti e minacce sul suo profilo Twitter: per un errore era stato accusato da alcuni utenti di essere il ciclista del video, con il risultato che migliaia di persone stavano chiedendo il suo licenziamento e il suo arresto.

Weinberg ha 49 anni e lavora nella finanza a Bethesda, Maryland. Appassionato di bicicletta, pedala spesso sulla strada dove era stato girato il video. L’applicazione che usava per tenere traccia dei suoi allenamenti condivideva pubblicamente le informazioni sui percorsi che seguiva. Quando la polizia del Maryland-National Capital Park ha chiesto aiuto su Twitter per identificare l’uomo del video, ha scritto che l’aggressione era avvenuta il 2 giugno. Il tweet ha ricevuto oltre 55mila retweet. Poco dopo, l’account della polizia si era corretto: l’incidente era avvenuto il primo giugno. Ma quel secondo tweet ha ricevuto soltanto 2.000 retweet: a circolare di più era stato il primo, come spesso capita in questi casi, diventando “verità”.

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Il Post ha raccontato che qualcuno ha provato a risalire ai ciclisti che avevano percorso quella strada la mattina del 2 giugno attraverso i dati pubblici dell’app, scoprendo che Weinberg era passato da lì quella mattina. La sua foto del profilo, in cui indossa un casco da bici e occhiali da sole, ricordava l’uomo del video, e quell’informazione è stata condivisa online, insieme al suo indirizzo di casa. Da quel momento sempre più persone hanno cominciato ad accusare ingiustamente Weinberg, che nemmeno aveva visto il video. Prima con qualche messaggio su Linkedin, che Weinberg ha ignorato ritenendolo spam, e poi con sempre più messaggi di insulti sul suo poco attivo profilo di Twitter. È cominciata una vera e propria gogna online, solo che la persona che la stava subendo non c’entrava niente con i fatti in oggetto. Lo accusavano di razzismo e di essere stato violento con una bambina, con annesse minacce.

Compreso l’equivoco, Weinberg ha chiamato la polizia, chiarito la sua posizione e denunciato quanto gli stava accadendo. Il giorno seguente, dopo aver incontrato la polizia ed essere stato scagionato, ha scritto su Twitter: “Ho scoperto da poco di essere stato associato per sbaglio a un’aggressione sconvolgente. Sappiate che non sono io. Sono in contatto con le autorità e aiuterò in ogni modo possibile”. Nelle risposte al tweet, molti hanno scritto di non credergli, continuando ad accusarlo di essere lui l’uomo del video.

Successivamente l’uomo è stato contattato anche dal procuratore generale del Maryland, che si è scusato e ha chiesto come potesse aiutarlo: ha twittato quindi che la polizia aveva fermato un sospettato, e che non era Weinberg. Il tweet è arrivato appena a 228 retweet. Quel pomeriggio, l’identità dell’uomo del video è stata poi diffusa: era un 60enne di nome Anthony Brennan III. Weiberg ha scritto su Twitter che avrebbe riflettuto su quanto gli era successo, aggiungendo: “Dobbiamo unirci nella lotta per la giustizia e l’uguaglianza, ma senza sacrificare il giusto processo e il diritto alla privacy e alla sicurezza”. Una storia che fa riflettere.