Consegnato a Enrico Della Casa il Premio Guido Rizzetto 2023
Dal 2014 il Premio Guido Rizzetto, dedicato all’indimenticato giornalista de L’Arena, ha voluto premiare figure chiave del mondo del ciclismo, non esclusivamente per i loro risultati agonistici, ma anche per la traccia lasciata in questo sport. La giuria, composta dalla redazione sportiva de L’Arena e dal Gs Cadidavid di Roberta Cailotto, in questi anni ha tributato il riconoscimento a ex campioni delle due ruote (Francesco Moser, Paola Pezzo, Elia Viviani e Sandro Callari), a tecnici della nazionale italiana come Davide Cassani e Marco Villa, ma anche all’imprenditore Giovanni Rana, da sempre vicino al ciclismo. Nel 2023, invece, il Premio Guido Rizzetto 2023 è stato attribuito a una figura dirigenziale: il presidente dell’Unione Ciclistica Europea Enrico Della Casa, che ha ritirato la targa celebrativa lunedì 29 maggio a Castel d’Azzano nel corso della serata di presentazione della 39° Festa dei Giovanissimi, in programma domenica 18 giugno nel paese veronese (nella foto di Remo Mosna).
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Una sorta di chiusura del cerchio per il dirigente di Correggio, che dopo aver partecipato come ospite alle ultime tappa del Giro d’Italia e prima di immergersi nell’organizzazione delle varie rassegne europee promosse dalla UEC in tutte le discipline, ha avuto l’occasione di toccare con mano una realtà provinciale e di confrontarsi con gli altri ospiti presenti al ristorante , come Silvio Martinello, il presidente del comitato di Verona della FCI Diego Zoccatelli, e quello del Comitato di Brescia Gianni Pozzani.
«Qual è il fil rouge tra queste realtà così diverse? La passione. Che ci si trovi al Giro, in giro per l’Europa per una rassegna continentale giovanile o alla presentazione di una festa per i giovanissimi si respira voglia di fare e l’entusiasmo di chi dona il suo tempo e le sue energie al bene di questo sport».
Enrico Della Casa, quali sono i prossimi impegni della UEC?
«Abbiamo tanta carne al fuoco. Solo quest’anno la UEC organizzerà 20 campionati europei nelle varie specialità, 12 prove di Coppa Europea di bmx, (tra cui quella a Verona che ha visto al via 1400 ragazzi) e otto prove di Coppa Europa di Ciclocross. Da italiano mi fa inoltre piacere ricordare come il Ciocco abbia ‘salvato’ l’edizione degli Europei giovanili di mtb, dopo le mancate autorizzazioni per farli in Svizzera come era stato programmato».
C’è chi sostiene che portare eventi internazionali tra i giovani è controproducente: li si esaspera troppo e si creano troppe aspettative.
«Vero a metà. Da un lato è inutile negare che l’agonismo faccia parte del ciclismo: ho visto rassegne giovanili nate come feste che ora sono diventate estremamente competitive. Per evitare che si esagerasse abbiamo quindi cercato di aprirle il più possibili a tutti: non solo selezioni nazionali, ma anche rappresentative e singole società. Questo fa sì che non si assista a una sfida tra i più forti Under 17 o Under 19 d’Europa, ma a un festival inclusivo. Missione, quella dell’inclusività e dell’incontro tra popoli, ancora più importanti in questi anni segnati dalla guerra».
L’altra faccia della medaglia qual è?
«Come si è visto negli ultimi anni, sia su strada che in mtb, si è alla ricerca sempre di più di profili giovani in grado di raggiungere presto ottimi risultati: non do giudizi su questa tendenza, ma è un fenomeno di cui prendere atto. Per questo le rassegne europee giovanili sono utili: danno modo agli atleti di confrontarsi con i coetanei europei prima del salto nelle categorie internazionali».
Ha parlato di mtb, di bmx, di ciclocross. È una UEC che sta scommettendo su specialità alternative alla strada, o sbagliamo?
«No, significa che il ciclismo ha sfaccettature e tonalità diverse che possono essere considerati tasselli di un unico grande progetto. Gli europei juniores e under 23 di Anadia lo ha dimostrato: ho visto ragazze passare dalla bmx alle prove di velocità in pista. E non devo certo ricordare io esempi viventi come Pidcock, Van der Poel o Van Aert, personaggi che da soli promuovono la multidisciplinarietà con i fatti. Inoltre, da presidente della UEC, ho il compito di ‘assecondare’ le richieste delle varie federazioni nazionali, soprattutto quelle di Paesi piccoli ed emergenti, che per numero di tesserati, caratteristiche delle loro strade e predisposizione stanno investendo molto nelle varie specialità del fuoristrada».
È complicato tenere insieme Federazioni nazionali così diverse per numeri, tradizioni e istanze?
«Meno difficile rispetto al passato. La barriera linguistica non è più un problema insormontabile, visto che l’inglese si usa anche nei Paesi dove un tempo si parlava solo russo. Inoltre c’è una nuova generazione di tecnici e dirigenti più preparata e aperta al confronto rispetto al passato. La sfida, per le Federazioni nazionali, sarà quella di potenziare e accelerare questa maggior professionalità di chi opera nel ciclismo, magari sfruttando le competenze, la personalità e, perché no, il fascino mediatico dei campioni che hanno chiuso la loro carriera agonistica».
Campioni che in Italia sono però sempre meno. Si è fatto un’idea del perché?
«Tema interessante. Al Giro, che rappresenta la punta dell’iceberg, abbiamo visto atleti fortissimi di nazionalità più disparate: Canada, Stati Uniti, realtà in cui il ciclismo non è radicato. Quindi da dove arrivano questi campioni? Sono cresciuti in Europa ‘seguendo’ il calendario e le orme dei colleghi europei o hanno seguito un altro percorso, fatto di meno gare e di un approccio tardivo al ciclismo? E, se così fosse, stiamo parlando di atleti eccezionali, quindi eccezioni alla regola, o forse è il caso di riconsiderare il nostro modello, fatto di competizioni settimanali sin dall’età di 7 anni? Io non ho una risposta, e forse non c’è nemmeno una risposta sola».
La UEC ha tanta carne al fuoco, come abbiamo già ricordato. Lei ha un sogno nel cassetto?
«Con lo stesso spirito di creare un grande evento giovanile che tenga unito il continente, ho il rammarico di non essere riuscito, per problemi politici, ad allestire l’UEC Super Cycling European Championships, che era in programma in Bielorussia nel 2021. Ma il progetto non è stato accantonato: ci sono Paesi, come la Svizzera, interessati ad allestire un progetto simile nel 2030. Inoltre un giorno mi piacerebbe che la UEC avesse la forza e la possibilità di promuovere l’uso della bicicletta come mezzo di trasporto e come strumento con cui scoprire il territorio. Sono sfide che al momento non possiamo raccogliere, ma in futuro dovremo essere in grado di dire la nostra».
La 39° Festa dei Giovanissimi
Oltre alla consegna del Premio Guido Rizzetto, la serata svoltasi al Ristorante Gusto di Castel d’Azzano è stata l’occasione per presentare tre appuntamenti dedicati ai giovanissimi: oltre alla 39° Festa dei Giovanissimi, in programma domenica 18 giugno a Castel d’Azzano e che vedrà coinvolte le principali realtà del territorio veronese con l’obiettivo di premiare tutti i bambini partecipanti, a prescindere dall’ordine d’arrivo, il velodromo Pescantina di Verona aprirà le sue porte mercoledì 21 ai giovanissimi, agli esordienti e agli allievi in occasione del 6° Trofeo Manutherm e del 3° Trofeo Acel Elettrica.