#AMOLABICI – Michele Scarponi, rimane l’esempio di un uomo vero
Oggi non si può essere originali, oggi il primo pensiero va a Michele Scarponi, va a a quel momento, a quel preciso istante della sua vita, a quella mattina presto, a lui che va per la discesa, a quell’esatto istante in cui il furgoncino è uscito dallo stop. Lo hanno detto in molti: bastavano cinque secondi. Forse due. Due secondi prima, due secondi dopo, e Michele ci sarebbe ancora. La chiamiamo fatalità.
Due vite, due traiettorie che i si incrociano nel momento sbagliato. Un attimo soltanto, uno schianto, e una vita se ne va. Se ne va un cuore che batte, un cervello che pensa, un cuore che ama, un cervello che progetta un futuro per sé, per la moglie, per i figli. Due figli. Un cuore grande, perché Scarponi anche a non conoscerlo (non lo avevo mai incontrato) ispirava un senso di generosità, di bontà. Bastava lo sguardo. Forza e bontà. Un uomo vero.
Rimane il suo esempio, rimangono i ricordi, la commozione che tutti hanno provato alla notizia della morte. Anche persone lontane dal ciclismo. Accompagnavo a casa due ragazzini della pallacanestro Lussana, amici di mio figlio, in quel sabato pomeriggio, e anche loro parlavano di Michele Scarponi e dicevano cose precise, che non mi sarei aspettato da due ragazzi di quattordici anni che si dedicano a un altro sport.
Poi la morte di Scarponi ha rilanciato la discussione sulla sicurezza in bicicletta, argomento sempre valido, problemi irrisolvibili se non con una continua insistenza sull’educazione stradale, sul rispetto delle norme. E degli altri. Io, come amatore di piccolo calibro, devo comunque sempre lamentare, quasi ogni giorno, comportamenti scorretti che non diventano incidente stradale soltanto per via della mia prudenza, dell’attenzione continua alla strada. Gente che ti taglia la strada in auto è all’ordine del giorno, è successo anche stamattina, me la sono cavata semplicemente frenando, niente di grave. Ma chi guidava l’automobile se ne è “strapippato” del fatto che io arrivassi in sella alla mia bici.
E in questa radiosa mattina di fine aprile purtroppo un’altra annotazione non propriamente piacevole. Giovedì sera mi hanno aperto il garage e rubato le due biciclette da corsa, la mia e quella di mio figlio, la Bianchi Sempre Pro e la Carraro. Hanno praticato il classico buco nella saracinesca e fatto scattare la serratura. Un furto mirato, hanno preso soltanto le due biciclette, lasciato tutto il resto. E aperto solo il mio garage. Qualcuno ha seguito i nostri movimenti, ha annotato la presenza delle due belle biciclette… Nella sfortuna un rimedio: non avevo ancora venduto la mia vecchia Bianchi, era rimasta dal ciclista (per fortuna non in garage, se no partiva anche quella). Per mio figlio troveremo una soluzione, magari rateizzata…
Non sono il primo e non sarò l’ultimo a subire un furto. Rimane poi quel senso di insicurezza, ti domandi: e adesso la bici dove la metto? Bel problema.
Ma continuiamo a pedalare, dai, mettiamo anche questo nel conto della vita, e avanti. Questa mattina era davvero radiosa e per un’ora ho pedalato, ho visto il Monte Rosa emergere dall’orizzonte, sono salito al colle dei Roccoli e in San Vigilio e da lì vedevo Milano e tutta la pianura e l’aria era bella e fresca. E mi sorrideva, sussurrava che sono comunque fortunato. Anche senza Sempre Pro.
Buone pedalate a tutti.
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Paolo Aresi – giornalista e scrittore.
Dal 2015 cura la rubrica “#AMOLABICI, le Cicloctorie di Paolo Aresi” sul sito www.bicitv.it.
Il ciclismo è una sua grande passione, ha trascorso l’infanzia tifando Felice Gimondi.
Pedala con una certa energia, ma il poco tempo a disposizione lo penalizza.